Il mio programma primaverile prevedeva l'accompagnamento di un gruppo sul trekking del Selvaggio Blu.....
Un affascinante percorso che si svolge sulla costa di Orosei in Sardegna: dalla guglia di Pedralonga fino a Cala Gonone. Sarei dovuto partire il venerdì 29 maggio e rientrare la domenica 7 giugno ma per insufficienti iscritti decido di rimandarlo a quest'autunno e quindi mi ritrovo con 10 giorni libero da impegni che velocemente trasformo in vacanza in giro per i monti. Non ho un programma ben definito, voglio però starmene "in montagna" e quindi sul furgone carico materiale da roccia, da ghiaccio e da sci alpinismo. L'idea iniziale è rimanere tre o quattro giorni nella zona dei Forni, spostarmi poi nel gruppo del Disgrazia e se mi restasse ancora qualche giorno mi piacerebbe fare una scappatina in Bianco sul versante Chamonix: l'attrezzo principe comunque sarà lo sci per puntare a qualche discesa su terreno ripido.
Sabato 30 maggio La mattina alle 7,15 parto sci ai piedi dal passo Gavia in direzione del San Matteo, ho con me cibo e gas per tre giorni, tenda, sacco a pelo, due piccozze, ramponi; ciò che mi serve per restare completamente autonomo tre giorni. Butto lo zaino sulla schiena e sapendo di mentire a me stesso cerco di auto convincermi che tutto sommato non è neanche molto pesante, ma al primo pendio ripido ecco che improvvisamente e naturalmente i suoi 22 Kg si fanno sentire! La giornata è fantastica, non una nuvola nel cielo terso, ogni tanto un leggero venticello mi rinfresca, la serenata notturna ha reso la superficie nevosa quasi marmorea tale da rendere utili i rampanti nei tratti ripidi per evitare con il mio carico scivoloni inutili. All'altezza della deviazione per il Tresero , mi fermo ad osservare quello che resta della seraccata del Dosegù, si è completamente divisa in due e nel mezzo scende ripido e rettilineo un bel canale, mi immagino già di scenderlo e sono quasi incredulo che tra tutti gli sci alpinisti che vedo in discesa non ce ne sia uno che lo percorre; mi prendo come riferimento per individuarlo un isolotto roccioso che in alto all'imbocco lo delimita sulla sinistra, non si sa mai...
La salita verso la cima del San Matteo è per me un calvario, incontro un gruppetto di sci alpinisti già in discesa che mi salutano da lontano, li ho conosciuti due anni fa al rally non competitivo della società Ugolini, scambiamo due parole e poi ognuno prosegue per la propria strada; loro in discesa con una neve che forse aveva bisogno ancora di un po' dal sole per essere perfetta e io in salita con il mio fardello sulle spalle, la mia fatica è alleviata dall'incontro con una persona che accompagna tre bambini incredibili di 7-9- e 11 anni con gli sci in direzione del San Matteo.
La quota aumenta, la fatica pure e le tappe di riposo di conseguenza; mi avvicino sempre più alla parete sud ovest della Punta San Matteo, alterna neve e roccia, istintivamente cerco una linea che scenda diretta dalla cima, è mia abitudine durante le sci alpinistiche cercare una discesa con caratteristiche ripide che non sia il classico itinerario di salita; idealmente traccio due itinerari che partono insieme pochi metri sotto la cima rocciosa, percorrono una bella pala aperta e verso metà parete si dividono in direzione di quello che definirei il passaggio chiave, uno prosegue diritto infilandosi poi a sx in uno stretto canalino che da la possibilità di superare la barriera rocciosa e l'altro serpeggiando tra affioramenti di roccia, costeggia a destra un pilastro per ricollegarsi sotto ad un ulteriore pendio, li memorizzo nel file "discese dirette e ripide" e li fotografo zoomando la parte centrale.
Verso le 11,30 arrivo all'affollata sella dove normalmente si lasciano gli sci per affrontare a piedi gli ultimi 150 m che portano sulla vetta, sono veramente provato e abbandono l'idea di salire in cima per portarmi in discesa sul ghiacciaio dei Forni, trovo un ottimo posto per la tenda a quota 3550 m al riparo e addossato ad uno strapiombo roccioso, c'è però da fare parecchio lavoro di pala per ricavare la piazzuola che ospiterà la tenda presa in prestito dal mio amico e testimone di nozze Andrea. Bene: il campo è allestito, inauguro il mio nuovo fornellino MSR da un litro per sciogliere la neve che servirà a idratarmi durante la giornata e a bagnare lo spuntino pomeridiano a base di salame e formaggio, mi faccio una pennichella e così abbandono anche le velleità di vetta per la giornata odierna, ma non fa nulla, è solo rimandata di un giorno.
Domenica 31 maggio Ennesimo cambio di programma, alla sveglia delle sei e dopo la colazione, fuori dalla tenda mi accoglie una fitta coltre di nebbia che impedisce di avere la giusta visibilità per scendere nel delicato tratto tra crepacci e seracchi che conduce nel sottostante ghiacciaio dei Forni; clicco sulla cartella " discese dirette e ripide" e apro Punta San Matteo parete sud ovest, calzo i ramponi, fisso gli sci allo zaino e infilata una piccozza nello spallaccio, con l'aiuto dei bastoncini mi avvio verso la vetta. La nebbia impedisce di vedere la ripida e seraccata parete nord est, ma una breve schiarita mostra la forte esposizione su un tratto affilato della cresta nevosa, a sinistra i seracchi e a destra un pendio intervallato da un salto roccioso, continuo la mia solitaria salita pensando che questo non sia il terreno adatto per chi non abbia la giusta dimestichezza con i ramponi. La cima fa capolino tra le nuvole, la croce metallica di vetta è quasi completamente sepolta dalla neve, è cosparsa da grossi buchi causati dai fulmini, resto illuminato dal sole per tutta la mia permanenza ma le nubi continuano a persistere nella parte inferiore, aspetto per oltre un'ora la schiarita che mi permetta di vedere con chiarezza la discesa, nel frattempo i primi sci alpinisti cominciano ad arrivare; strette di mano, visi che sorridono, foto di rito e ritorni un po' amareggiati per il panorama non concesso.
Sono stanco di aspettare, controllo ancora attentamente che l'ingresso sia giusto, da questo punto di vista le prospettive cambiano completamente e sbagliare l'accesso vorrebbe dire trovarsi la strada sbarrata in mezzo alle rocce. La cima ora è quasi affollata, alcuni salgono e altri scendono, faccio le prime curve sentendomi addosso gli occhi di tutti, poi imbocco la pala nevosa; sposto l'interruttore su "off", escludendo tutte le fonti di distrazione, ora sono solo e scio per un centinaio di metri di dislivello sopra la barriera rocciosa, la neve non avendo preso sole è un po' ghiacciata, l'errore non fa parte delle opzioni di questo momento, sono molto concentrato e l'avvicinarmi alla zona rocciosa non mi irrigidisce ma al contrario mi fa provare un sottile piacere, curvo e controllo, curvo e controllo con precisione fino ad arrivare al bivio delle due possibilità, la visibilità è scarsa, a destra quello che vedo non quadra con quello che mi aspettavo; troppe rocce, con un piccolo diagonale a sinistra riesco a prendere ancora lo stretto canalino che con 15 metri di derapata con gli sci mi porta fuori dalla fascia rocciosa, la nebbia si dirada, il pendio si apre, vedo gli altri sci alpinisti che salgono, ma la pendenza ormai è calata, ancora qualche curva e poi con un deciso diagonale a destra mi porto in direzione della sella che ormai è gremita di persone.
Rivedo con piacere Dario che anche se dolorante dopo tanto tempo dal suo incidente su roccia torna alla montagna, Giancarlo e Francesco sono con un gruppetto di ragazzi per una gita in compagnia, insieme a Loris e Giovanna c'è Michela alla sua prima salita importante, è dubbiosa nei confronti della vetta per via dell'utilizzo dei ramponi e l'esposizione della cresta; resterà con Giovanna ospite al mio campo sorseggiando una tazza di tè caldo in attesa dei compagni. Al ritorno del gruppo decido di aggregarmi a loro per fare una parte della discesa, proponendo poi a Loris che è un ottimo sciatore di scendere il canale visto il giorno precedente, individuo l'isolotto roccioso e senza colpo ferire lo imbocchiamo portandoci con una bella e goduriosa sciata nel pianoro sottostante e congiungendoci nuovamente al gruppo. Altri saluti, una fetta di torta pagata da Loris al rifugio Berni e di nuovo ognuno per la propria strada.
La visibilità durante la discesa era stata discreta ma ora cala una fitta nebbia e non vedo altro che la punta degli sci.... Mi riporto sulla traccia di salita che però è parzialmente cancellata da quelle di discesa, poi ecco una profonda traccia di ciaspole, ricordo di aver visto in mattinata una persona che scendeva a piedi, non è mia abitudine seguire le tracce, l'itinerario lo traccio sempre con la consapevolezza di quello che sto facendo, ma queste le conosco bene! Dovrei fare un pendio ripido, poi una leggera salita, ancora un pendio ripido seguito di nuovo da una leggera salita fino ad arrivare al pendio finale che porta alla sella e alla tenda. Proseguo concentrato sulla traccia, l'atmosfera è quasi surreale, la visibilità è nulla, il silenzio è assordante, ora però l'ultima leggera salita si trasforma in pianoro: non ci siamo! Mi fermo ed estraggo la tecnologia: il GPS; sono decisamente spostato a sinistra, correggo la direzione e in mezz'ora ritorno alla tenda, il giorno successivo scoprirò che le tracce da me seguite non erano quelle che pensavo ma altre che andavano in direzione del Dosegu ... a buon intenditore poche parole! Il resto della giornata la passo internato nella tenda, fuori la visibilità non migliora, tira vento e comincia a nevischiare, alterno spuntini a sonnellini fino quasi a mezzanotte, poi esco dalla tenda restando a bocca aperta; il vento ha spazzato tutte le nuvole, davanti a me la luna piena ha appena superato il Monte Mantello e illumina quasi a giorno tutto l'ambiente circostante, le stelle invadono il cielo diventando gli abitanti della notte e ancora una volta la natura da prova della sua maestosità ! Non ho ancora deciso cosa farò l'indomani ma mi addormento senza la minima preoccupazione.
Lunedì 1 giugno Con in mano una tazza di tè caldo guardo sorgere il sole che gradualmente illumina la parete est del Monte Mantello, sembra una bella discesa ma sono indeciso tra questi pendii ripidi, il Dosegù o il Tresero. Decido comunque di smontare la tenda e, a lavoro ultimato il sole mette in evidenza la bella e vicina Cima di Villacorna; la prima parte del pendio sale fin sotto delle rocce, poi un fondo di valanga lo incide come una cicatrice e si immette a destra in un plateau di neve delimitato da un salto roccioso proseguendo poi diretto fino alla vetta, nessuna traccia di salita ne discesa .... ecco la mia meta!
Nonostante il peso dello zaino mi godo la sciata su ottimo "firn" fino alla base della parete, deposito l'attrezzatura da bivacco, calzo i ramponi e comincio a salire con soddisfazione su ottima neve dura. Poco sotto la cima compaiono tracce della 1° guerra mondiale, filo spinato e legname affiorano dalla neve e il mio pensiero va a tutti quegli alpini che hanno sacrificato giovinezza e vita pattugliando per intere stagioni i confini di questi incantevoli luoghi che in passato sono stati teatro di momenti eroici e di morte. Una croce di vecchio legno segna la fine della salita, da ovest cominciano ad arrivare nuvole che accompagnano nebbie, abbandono i miei tristi pensieri, mi preparo velocemente e affronto il primo pendio ripido fino all'isolotto roccioso che mi segnala il salto imminente, mi sposto a destra, attraverso il fondo di valanga e in pochi minuti sono di nuovo alla base, soddisfatto ricarico l'attrezzatura pregustando la fetta torta (pere e cioccolato), che mi aspetta al passo Gavia.
Martedì 2 giugno Le previsioni non sono ottime, decido quindi per una giornata di relax passata seguendo al mattino la salita di Marco e compagno alla nord del Tresero e il pomeriggio lo passo alle terme di Bormio. La sera mi preparo una bella cena sul mio furgone al parcheggio dei Forni e il tramonto mi augura buon appetito accendendo di rosso la cima del Palon de la Mare.
Mercoledì 3 giugno Voglio portarmi sul ghiacciaio dei Forni e fermarmi per quattro giorni, lo zaino quindi aumenta di peso ulteriormente e per di più dovrò spalleggiare gli sci fino all'inizio della lingua glaciale a quota 2.550 , non arrivo come previsto fin sul ghiacciaio ma pianto la tenda sul fondo ghiaioso del letto del torrente (ora asciutto) che con un po' di sbancamento e cosparso di sabbia fine diventa un ottima piazzuola per la tenda.
Giovedì 4 giugno La nord di cima Cadini presenta una bella pala sciabile di 400 metri compresi tra 3.100 e 3.500 metri, alle 8,00 sono alla sua base e presumo di salire la parete in un'oretta circa, cominciando così la discesa prima che il sole la scaldi troppo. Lo zero termico però si è alzato parecchio e dopo il primo passo con i ramponi mi rendo conto di essere stato troppo ottimista, la neve è già pesante e arriva al polpaccio, a volte affondo fino al ginocchio, mi ripeto più volte che dovrei tornare indietro, la discesa non sarà di soddisfazione e potrebbe diventare troppo pericolosa, ma ho come riserva la possibilità di scendere per la via normale, quindi testardo proseguo arrancando fino alla fine impiegando due ore e mezzo.
Accenno un paio di curve sulle tracce di salita ma la neve è troppo fradicia e su questa pendenza rischio di far staccare tutto, attraverso subito in alto verso destra per portarmi su quella porzione di pendio che il sole ha risparmiato maggiormente, come da previsione la neve non è più marcia ma è costituita da una crosta non portante e le tecniche possibili sono due; la prima è di sciare leggeri con curve ampie per non sfondare la crosta ma non su questa pendenza e la seconda è romperla con potenza e ritmo ma necessita di avere le gambe che funzionano come due stantuffi e, complice la sfacchinata in salita ogni quindici curve mi devo fermare a riposare. La crosta è infida e ha volte cede improvvisamente rischiando di farmi perdere l'equilibrio, in una curva il manto nevoso mi tradisce, rischio di cadere lateralmente ma l'adrenalina fa il suo dovere e di potenza recupero lo sci, faccio la curva sul lato opposto e mi fermo a rifare il punto della situazione. Sotto di me c'é "solo" il pendio ripido che dopo circa 250 metri termina su un pianoro, una caduta verrebbe arrestata sul fondo, non ci sono salti di roccia ma in ogni caso preferisco evitarlo!
Ripreso il fiato continuo la discesa senza intoppi fino alla base della parete nord, scendendo verso il mio campo base preparo il programma di domani, dalla cima di Punta Pedranzini disegno la mia discesa, verso la cima c'è solo un tratto roccioso da affrontare a piedi, sotto la pendenza è continua e sostenuta, ma l'esposizione è est e con queste temperature dovrò partire la mattina molto presto per evitare che il sole scaldi di nuovo troppo la neve.
Venerdì 5 giugno La partenza è di nuovo a buon'ora, alle 5,30 sono sulla neve che ora sembra portare bene, affronto la lingua glaciale e i pendii successivi di slancio, voglio arrivare più velocemente possibile alla pala finale. Arrivo alla base a circa 3100 metri ma il pendio che mi aspetta non si è ancora scrollato di dosso l'ultima recente nevicata, c'è solo una porzione che costeggia delle rocce che ha scaricato, la prima parte non è ripida e quindi mantengo gli sci ai piedi, devo aggirare un paio di crepacci di cui uno notevole... La pendenza ora gradualmente aumenta ma purtroppo anche la neve va peggiorando, arrivo ad una crepaccia terminale che mi chiude la strada, l'unico passaggio è a destra su roccia; fisso gli sci allo zaino e con una spaccata comincio ad arrampicare; devo salire una quindicina di metri su terreno friabile, i miei scarponi sono più adatti alla discesa e mi sembra di avere i piedi ingessati, con l'aderenza poi va ancora peggio. Comunque raggiungo una piccola dorsale nevosa, proseguo nella neve marcia che mi arriva alle ginocchia, la mia saggia vocina comincia a dirmi di valutare bene la situazione; sono relativamente tranquillo perché se dovesse staccarsi qualcosa resterei sul filo della dorsale, mi guardo intorno, vedo che la porzione di pendio già scaricato si riduce sempre più fino a chiudersi sotto altre rocce, fuori dalla mia verticale incombe un vasto e ripido pendio di neve pesante che non penso assolutamente di salire, potrei continuare su roccia ma il problema lo avrei comunque in discesa: raggiungo una zona sicura, mi fermo e decido di scendere.
Creo una piazzuola per prepararmi alla discesa, tolgo gli sci dallo zaino, via le pelli e messi gli sci ai piedi, dall'alto parte una lenta slavina di neve umida che ripulisce ulteriormente l'unica fettina di pendio su cui sia sensato scendere, sono "contento" perché forse andrà a riempire la terminale che altrimenti dovrei saltare, ringrazio la vocina e scio su questo stretto corridoio bonificato, salto la terminale parzialmente chiusa, aggiro con cautela i due crepacci incontrati in salita, la neve è decente fino alla base del pendio poi per il resto della discesa cerco solo di non affondare in queste sabbie mobili bianche.
Per l'ennesima volta guardo verso la nord del San Matteo, è da quando sono arrivato tre giorni che continuo ad osservarla, sarebbe una bella discesa, ho anche individuato una linea che partendo dallo cima scende prima sulla verticale della seraccata, la evita a destra, aggira la grossa terminale con un traverso verso le rocce e lì, grazie alla neve scaricata dalle stesse, si riesce a scavalcarla, continua poi a sinistra zigzagando tra crepacci e resti di seracchi caduti dall'alto fino al pianoro sottostante, ma la neve non si è ancora trasformata completamente e le temperature attuali mi fanno scartare l'interessante ipotesi. Sulla sinistra della seraccata e compresa tra i grossi crepacci ancora più a sinistra, c'è una potenziale discesa che sembra creata appositamente per essere sciata, incastonata in questo severo ambiente di alta montagna ecco la linea che forse potrebbe farmi chiudere in bellezza la mia vacanza; eh sì , purtroppo domani sarà l'ultimo giorno, ma il problema è ancora lo zero termico altissimo, sono due giorni che resto "scottato" dal Sig. Scipione l'Africano che continua a soffiare aria calda sulla nostra penisola.
Penso che per iniziare la discesa domani mattina entro le 8,00 dovrei partire non più tardi delle tre di notte e percorrere una parte dell'itinerario che si insinua in una zona molto crepacciata che al buio non sarebbe così evidente, in alternativa potrei salire oggi pomeriggio al bivacco Meneghello che è posto tra la punta di Cadini e la cima del San Matteo e mi troverei solo a un'oretta dall'inizio della discesa.
Sono le 11,00, mi stendo sul materassino e mi prendo un paio di ore per decidere, non ho molta voglia di rifare lo zaino, tra l'altro nel pomeriggio danno forti temporali, ma il tarlo lavora incessantemente: prima di mezzogiorno mi alzo di scatto, la decisione è presa, preparo lo zaino con il minimo indispensabile: fornelletto, il gas rimanente, una minestra, un pezzo di grana, due barrette, mezzo litro di acqua, il piumino, una maglietta di ricambio e via; devo fare circa 900 m di dislivello cercando di arrivare al bivacco prima del temporale e della ormai consueta scarsa o assente visibilità del pomeriggio. La neve è fradicia, le pelli si inzuppano, la visibilità resta discreta ma ad un certo punto le nuvole si abbassano, aumenta il vento e scoppia il temporale; niente fulmini nei paraggi ma comincia a grandinare, mi fermo a mettere la giacca, il cappuccio mi ripara la testa, ma i chicchi aumentano di dimensione e cominciano a farmi male, intravedo il bivacco e allungando il passo lo raggiungo in pochi minuti. All'interno la prima cosa che si nota posta al centro della parete è la fotografia in bianco e nero di Francesco Meneghello, capitano degli alpini disperso durante la 2a guerra mondiale in Russia nella tragica ritirata del Don, viso magro, sguardo fiero dal quale traspare l'ardimento che tanto ha distinto gli alpini su queste montagne; ci sono sei brande, due delle quali funzionano da panca, il bivacco è stato costruito con il legname ricavato dai resti dei baraccamenti della guerra e rivestito in lamiera, c'è un po' di pentolame, una piccola farmacia, viveri per un paio di persone, candele, c'è pure la macchinetta del caffè, un comignolo è testimone di quando i bivacchi erano dotati di stufa a legna!
Mi asciugo, e per passare un po' il tempo leggo il libro del bivacco, la maggior parte delle persone che hanno transitato da qui lo fanno percorrendo il noto itinerario delle 13 cime, una cordata invece ha salito la nord del San Matteo e mentre scorro le pagine improvvisamente l'interno del bivacco si accende come un focolare, un raggio di sole si fa strada tra le rimanenti nuvole e a intermittenza illumina le cime circostanti; partendo dal Gran Zebrù svettano una serie di montagne tutte vicine o superiori ai 3.500 metri, Pasquale, Palon de la Mare, Cevedale, Vioz, Punta Taviela, Cima di Pejo, Rocca di S. Caterina, Punta Cadini, fino ad arrivare a me, proseguono poi con il San Matteo, Dosegù, Punta Pedranzini e terminano al Tresero; guardando poi oltre il colle degli Orsi, Presanella, cima Vermiglio, Busazza e Adamello concludono la cornice di questo quadro naturale, le vette hanno tutte un carattere glaciale anche se ora in veste primaverile la neve come un mantello copre i tormentati ghiacciai che in estate diventano un dedalo di crepacci e seraccate rendendo labirintico il cammino.
Passo il resto del pomeriggio in questo angolo di paradiso assorto tra i miei pensieri e con la gioia del dolce far niente, coccolato dal sole e immerso nel profondo delle montagne che tanto mi danno, assaporo la completa solitudine e l'incertezza che questa condizione mi da; le scelte sono solo tue, non ci sono consultazioni con il compagno, niente conferme o complimenti, incoraggiamenti, pacche sulle spalle o sorrisi; ogni decisione è presa con la consapevolezza di essere solo, ripeti che non sbaglierai nulla ma allo stesso tempo sai di non poterlo garantire, sogni e vivi il tuo sogno: la linea che hai visto, osservato e percorso mentalmente, ti attrae in modo irresistibile ma allo stesso tempo ti respinge, la voce coscienziosa dice che potresti fare altro, ma l'altra ti dice il contrario, lei si nutre della vita vissuta senza scorciatoie, gli ostacoli li affronta di petto, non si ritrae dinnanzi all'incerto, sa che l'arricchimento che ne avrai sarà un marchio interiore indelebile!
Metto la sveglia alle 6, ho davanti a me 9 ore di sonno.
Passo la prima parte della notte sognando di trovarmi in situazioni decisamente critiche, sono solo con gli sci in mezzo ad un ghiacciaio complicatissimo, la strada è sbarrata da ponti di neve improbabili, intorno a me nessuna possibile via di uscita, continua a cambiare lo scenario ma la situazione è sempre la medesima, non trovo soluzione e non posso proseguire ne tornare indietro.... poi improvvisamente come è iniziato tutto finisce, il mio sonno prosegue con le acrobazie di un gruppo di ragazzi di colore con una palla da basket all'interno di una fabbrica in disuso!
Sabato 6 giugno Al suono della sveglia provo a cercare una spiegazione di quello che a volte il tuo cervello ti propone durante la notte, sono più giorni che giro in mezzo ai crepacci e posso capire la prima parte del sogno, ma i giocatori di basket proprio non riesco a collegarli a nulla....
La notte è stata serena ed è la garanzia che il rigelo notturno manterrà la neve alla giusta temperatura, ora a parte pochi minuti di nebbia il cielo è limpidissimo, faccio una veloce colazione e alle 6,30 sono con gli sci ai piedi, subito il terreno è ripido ed esposto, la neve ghiacciata impone l'uso dei rampanti, supero il primo promontorio ma non riesco a capire se dal dosso successivo si possa accedere al plateau superiore che conduce verso la vetta del San Matteo, alla mia destra scende un ripido pendio per circa 50 metri di dislivello, è interrotto da una crepaccia terminale, intravedo un piccolo ponte di neve che sembra abbastanza solido, decido quindi di perdere dislivello puntando a quello stretto passaggio; prima di passare cerco di capire lo spessore e la larghezza, è più largo del previsto, il grosso labbro superiore si apre verso il crepaccio ed è unito con il lato opposto da un ponte lungo un paio di metri. Cerco un passaggio alternativo ma quello sotto di me è il punto migliore, vorrei avere gli sci lunghi tre metri per dover fare un sol passo, cerco di essere più leggero possibile, trattengo il respiro e allungo lo sci destro, velocemente affianco il sinistro e con altri due passi sono dalla parte opposta.
Alla mia destra l'ambiente è suggestivo, crepacci giganteschi si allargano verso il ghiacciaio sottostante, c'è un pilastro di ghiaccio alto una quindicina di metri che sfida la legge di gravità, cerco lontano la roccia che è il mio punto di riferimento, la intravedo, vi punto decisamente e alle 7,15 tolgo le pelli dagli sci. Il sole ha già cominciato a illuminare il mio pendio ma la neve è ancora troppo ghiacciata, decido di attendere fino alle 8 ma non oltre, non voglio rischiare che il sole scaldi troppo la parte inferiore. Ripercorro a memoria la linea da scendere, evitare sulla destra una lastra di ghiaccio, costeggiare il limite sinistro del pendio scendendo paralleli alla crestina sparti acque che immette direttamente sulla tormentata parete nord del San Matteo, tenere poi un grosso crepaccio sulla destra e via diritti fino a un accennato crepaccio che si passa verso destra, ci si immette poi in una valletta che porta sul ghiacciaio dove passa l'itinerario che va verso il Tresero e poi giù verso il ghiacciaio dei Forni.
Faccio scivolare la maschera dal casco sugli occhi, un respiro profondo e via, non vedo ancora il pendio sottostante, ora la pendenza è lieve, le prime curve dolci mi servono a scaldarmi, man mano che avanzo la pendenza aumenta, non vedo ancora quello che mi aspetta, ancora poco.... ed eccolo che appare in tutta la sua bellezza, il fondo è ancora molto duro, le lamine mordono la neve ghiacciata, controllo ogni curva al millesimo, la pendenza non è esagerata, ma i 500 metri sotto non invogliano ad una scivolata, osservo da vicino la nord che con un percorso molto delicato fatto di curve sopra gli imponenti seracchi e delicati traversi si apre la strada verso il basso tra le terminali e i vari crepacci "clicco salva con nome".
Sono nella parte centrale della discesa, il sole qui ha lavorato e il fondo a volte tenta di cedere sotto gli sci, nel terzo inferiore invece è perfetta, supero la terminale e con un senso di liberazione mi dirigo verso i pendii dolci percorsi il giorno precedente ; sono le 8,30 quando apro la cerniera della tenda!
Mangio, bevo, mi stendo su una roccia al sole, mi sento proprio bene.
Smonto la tenda, carico lo zaino e mi dirigo sul sentiero verso il rifugio Branca, abbandonandolo poi per scendere al centro della valle e arrivare al parcheggio dei Forni.
Questi quattro giorni li ho vissuti piacevolmente e intensamente con me stesso, ho potuto scegliere la mia "strada" in funzione a ciò che la montagna, il meteo ma specialmente il mio istinto e il mio cuore mi indicavano, ora mentre scrivo a distanza ormai di tre settimane rivivo appieno quegli attimi; quelle emozioni le ripongo in uno scrigno prezioso dentro di me, rimarranno per me linfa vitale inesauribile dalla quale poter attingere in qualsiasi momento.
Grazie montagne ....